25 giugno 2025. Terzo incontro delle responsabilità delle religioni in Italia
La via italiana al dialogo è pavimentata di condivisione, di esperienze, di concretezza, di lotta contro ogni inquinamento delle parole che appartengono alle religioni. Questo ed altro è emerso alla “Conversazione spirituale fra credenti di diverse religioni in Italia” che si è svolta oggi, a Roma, per iniziativa della Cei. All’evento hanno partecipato leader e rappresentanti delle principali fedi e religioni presenti in Italia, tra cui cattolici, cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, sikh, induisti, baha’i. Con loro anche diversi delegati di movimenti giovanili delle rispettive denominazioni. Nel 2026 un simposio delle religioni presenti in Italia.
È stato un quadro di Edward Hopper, artista nordamericano del secolo scorso, dipinto nel 1951, a fare da sfondo alla “Conversazione spirituale fra credenti di diverse religioni in Italia” che si è svolta oggi, a Roma, per iniziativa dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo della Cei e della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo. All’evento hanno partecipato leader e rappresentanti delle principali fedi e religioni presenti in Italia, tra cui cattolici, cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, sikh, induisti, baha’i. Con loro anche diversi delegati di movimenti giovanili delle rispettive denominazioni. Si è trattato di una tappa di avvicinamento ad un simposio delle religioni che sono in Italia previsto nel 2026, come annunciato in apertura dei lavori da don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio Cei, promotore dell’incontro. È stata formata, per questo, una segreteria organizzativa che redigerà una carta di intenti che dovrà essere sottoscritta dai tutti i componenti del tavolo dei leader e rappresentanti delle principali fedi e religioni presenti in Italia.
Trascendenza e quotidianità. Il quadro si intitola “Rooms by Sea”, stanze in riva al mare, ha spiegato mons. Derio Olivero, presidente della già citata Commissione, e “rappresenta bene la fatica a trovare un senso nella nostra società occidentale, e la sua solitudine. L’impressione, guardandolo, è quella di essere dentro una stanza da soli in riva al mare dove non ci sono né barche, né persone. La stanza guarda sul mare ma non ha una scaletta per raggiungerlo. È impossibile arrivarci”. Il mare, ha annotato il vescovo, “per credenti e non credenti rappresenta l’infinito, che poi possiamo chiamare Dio, trascendenza”, mentre la casa, presumibilmente del pittore, “racconta la quotidianità”. Trascendenza e quotidianità “sono più vicine di quanto non ci accorgiamo e dunque Dio è più vicino di quanto sembri nella nostra società”. Ciò che manca è “la piattaforma che ci permette di arrivare a questo mare”. E se un tempo questa piattaforma era rappresentata dalle religioni, con i loro riti, tradizioni, “oggi è necessario chiederci se le nostre religioni sono davvero piattaforme per incontrare la trascendenza o piuttosto sono diventate autoreferenziali”. Altro aspetto evidenziato da mons. Olivero è legato alla ‘luce’ del quadro dipinta come se arrivasse sia da dentro la casa che da fuori cioè dal mare. E questo dice che “è la luce che arriva dall’infinito e che Dio non solo è più vicino, anzi è dentro la casa”.
E allora un’altra grande sfida per le religioni oggi è “dare forma alla presenza del divino nella nostra società, diventare portatori di luce nella quotidianità degli umani, credenti non credenti, diversamente credenti”.
Ritrovarsi come credenti. Per affrontare queste sfide, ha detto la teologa Giuseppina De Simone, “occorre aprire un dialogo e riconoscere che abbiamo in comune l’esperienza di Dio. È questa che rende possibile il trovare spazi per l’incontro e la collaborazione agendo insieme per il bene comune. Condividiamo, infatti, valori etici e morali fondamentali come la pace, la giustizia, la carità, la cura del creato, che rendono possibili azioni congiunte per affrontare le sfide sociali e ambientali”. “Ritrovarci come credenti in questo tempo e in questo Paese – ha aggiunto – ci permette di essere quella piattaforma che conduce all’incontro con la trascendenza. La nostra opzione per il dialogo è irreversibile ed è una via del modo di stare delle nostre religioni all’interno del territorio italiano”.
Questo vuole dire, ha sostenuto la teologa, “perseverare anche quando le posizioni divergono e quando le pressioni interne o esterne alimentano fratture e conflitti tra noi. Siamo in un tempo di profondo disorientamento, in un tempo in cui sperimentiamo anche la solitudine. Avvertiamo tutta la necessità e l’urgenza dell’essere insieme. Questa è una priorità, un valore irrinunciabile. Il bene comune più grande che dobbiamo costruire è la pace”. Urgenza condivisa dall’imam della grande Moschea di Roma, Nader Akkad, che ha citato Igino Giordani: “Se vuoi la pace, prepara la pace e se vuoi la guerra, prepara la guerra. Si parla ogni giorno di guerre preventive ma perché – ha domandato – non parliamo mai di pace preventiva?”.
Alfabeto comune. Il dialogo deve avvalersi di “un alfabeto comune – ha affermato il rabbino di Firenze, Gadi Piperno – i leader religiosi devono fare attenzione all’uso delle parole, soprattutto in dichiarazioni pubbliche, perché dobbiamo renderci conto che siamo tutti dentro la stessa zattera. Il dialogo non è semplicemente parlarsi, ma è comprensione dell’altro, il riconoscimento della liceità del suo punto di vista e naturalmente anche delle sofferenze dell’altro. In un mondo in fiamme dobbiamo agire come una sorta di porta tagliafuoco ed evitare le fiamme attecchiscano anche qui”. Da Piperno è arrivata anche la proposta di pubblicazioni dedicate a temi come l’accoglienza, la cittadinanza, il diritto, per mostrare il contributo propositivo che le religioni e l’insieme delle religioni possono dare alla società. Concorde anche Svamini Shuddhananda della Segreteria dell’Unione induista italiana (Uii) per la quale “l’educazione alla conoscenza reciproca può e deve passare anche attraverso esperienze concrete, di condivisione, di laboratori, di esperienze nel fare insieme qualcosa”. Di “cittadinanza responsabile in quanto credenti” ha parlato l’imam Yahya Pallavicini, vicepresidente del Coreis, la Comunità religiosa islamica italiana. Si tratta di “un percorso che pone anche la questione dell’appartenenza alla società senza discriminazioni, senza essere considerati figli di un Dio minore”. Concetto ripreso anche da Cristin Cappelletti, dell’Assemblea spirituale nazionale dei Bahà’i: “Il ruolo della religione è fare da collante, ovvero ispirare ogni persona a scegliere l’altro e non se stesso. La religione è il potenziale di ogni individuo nel contribuire alle grandi domande del nostro tempo e quindi a guardare al futuro”. Sul tema del linguaggio è tornato Yassine Baradai, segretario dell’Ucoii, l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, che ha ricordato che “il dialogo è composto da sentimenti ma anche da parole. Spesso sono proprio le parole che ci dividono perché vengono mal interpretate. Spesso diciamo una cosa per dirne un’altra e purtroppo questo crea risentimento verso l’altra parte”. La parola, ha sottolineato, “è la cosa più bella che Dio ci ha dato e dobbiamo in qualche modo darle nuovo valore”.
da agensir.it
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