Ecumenismo: p. Vladimir Laiba (Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia) al Sae, “il suo fine è il ripristino delle condizioni necessarie per una comunione eucaristica piena e condivisa”
da agensir.it
“Dire Gesù oggi non significa elaborare una strategia, ma rispondere a una domanda fondamentale sul nostro stesso essere: siamo disposti ad abbandonare la sicurezza del nostro io individuale per entrare, al seguito di Cristo, nella ‘Roma’ della pluralità culturale, non per conquistarla, ma per essere, se necessario, ‘crocifissi di nuovo’ per amore dell’altro? La questione non è ‘cosa fare?’, ma ‘“come esistere?’”. Lo ha detto padre Vladimir Laiba, protopresbitero della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, coordinatore del gruppo teologico del Sae, intervenendo alla 61ª sessione di formazione ecumenica del Sae in corso a Camaldoli.
Il relatore ha individuato come problema della nostra epoca una crisi ontologica: l’essere umano ha perso il contatto con il vero Essere, con la vita come comunione. Per assumerlo di nuovo occorre guardare a Cristo con lo sguardo degli apostoli, degli innamorati che vedevano in Lui la Verità. Il loro martirio “non fu il prezzo per un’idea, ma l’espressione ultima di una vita totalmente de-centrata da sé e ri-centrata su Cristo e sulla comunità da lui generata”. Perciò, in questa visione, essere cristiani e cristiane non significa aderire a una dottrina, ma essere innestati e innestate, attraverso lo sguardo amante della Chiesa, in questo nuovo modo di esistere che è il Corpo di Cristo.
La teologia ortodossa vede come luogo eminente della comunione l’Eucaristia, che realizza l’unione tra persone; l’incontro con l’altro, l’altra diventa “luogo teologico” dell’incontro con Cristo. “Ogni ‘altro’ – il fratello, lo straniero, il nemico – è un’icona di Cristo, perché Cristo è Colui che si è identificato totalmente con l’altro. Amare l’altro, fare spazio nella nostra esistenza per l’altro è l’unico modo per fare spazio a Cristo. Una fede che non si traduce in un’apertura incondizionata all’altro non è fede cristiana, ma un’illusione individualistica”.
Resta uno scandalo ontologico da sanare: “Come possiamo ‘dire Gesù’ al mondo se il suo stesso Corpo è visibilmente lacerato? Se l’identità della Chiesa si realizza nell’unica Eucaristia, allora l’impossibilità di condividere lo stesso Calice è una ferita mortale alla nostra stessa identità e una radicale contraddizione della nostra testimonianza”, ha sostenuto il relatore.
Per Laiba il fine dell’ecumenismo è “il ripristino delle condizioni necessarie per una comunione eucaristica piena e condivisa. Questo richiede un ritorno unanime alla fede apostolica, perché non può esserci comunione nel Calice senza comunione nella Verità. Detto in altre parole, avere quello stesso sguardo degli apostoli su Cristo”. Occorre “lavorare e pregare per superare le divisioni, non per creare una ‘super-Chiesa’ istituzionale, ma per poterci finalmente riunire attorno all’unica mensa e manifestare al mondo che Cristo è uno e che la vita che Lui offre è una vita di comunione”.
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